domenica 17 giugno 2007

FUGHE

C'era poco da fare, era un "pacco" bello e buono. L'avevo capito da subito e, nonstante ciò, c'ero cascato come un pollo.
"Ben ti stà" mi rimproverai accendendo una sigaretta e lasciando che lo sguardo vagasse oltre i tetti dell'Ospedale Militare. Là, oltre quelle mura dell'ex convento, c'era Padova, una città distante meno di un'ora dalla mia. C'erano negozi, ragazzi, donne, gente che si divertiva ignara di me, bloccato dall'altra parte del muro. Meglio della Caserma Addestramento Reclute da cui provenivo e dove ero rimasto tre giorni a guardarmi intorno indeciso se piangere o ridere di ciò che l'istituzione militare mi mostrava. Ne ero uscito, anche se temporaneamente, ingobbito da un impermeabile grigio verde, con un assurdo capello da alpino in testa e, subito arrivato alla nuova destinazione, avevo fatto un giro tra i cespugli polverosi e asfittici della stazione. Un giro rapido per interrompere la sequenza di crampi alle gambe e di sudori freddi.
Una piccola sorsata di conforto prima di affrontare un deserto di noia fatto di visite mediche dominate dall'angoscia di un ritorno al corpo, di suore, di preghiere, di sonni turbati dalla carenza bio-chimica del corpo.
Qua e là delle rare oasi: affinità elettive che si incrociano, seguono profumi illegali, indugiano su birre e sigarette consumate nevroticamente, scambiano sguardi. Infine si ritrovano.
Era così che avevo conosciuto quel tizio di Bassano. Tarchiato con pochi capelli sul cranio da bardotto e i lineamenti del viso affilati dalla piazza, veniva da una famiglia benestante ed era già parecchio andato.
Non mi interessavano i suoi tormenti e sensi di colpa, men che meno le motivazioni che stavano alla base di una discesa così veloce lungo il vizio, abituato oramai a rapporti strettamente funzionali, il tipo rappresentava per me solo ed unicamente un utile tramite tra me e ciò a cui miravo. Il mio istinto ebbe ragione, infatti il ragazzo parlava tanto, troppo, e bastò una allusione, una soltanto, per portarlo entusiasticamente sull'argomento.
- Ci sarebbe Paco, lui sà dove trovarla.- spiegò
- Chi sarebbe questo Paco ?
- Quel tipo là. - rispose indicando un angolo del cortile - Quello sdraiato sul muretto a prendere il sole.
Alto, magro e con la capigliatura apparentemente risparmiata dallo scempio del barbiere militare, stava tranquillamente a prendere il sole, con i pantaloncini color Kaki e la Fruit bianca.
Il tizio di Bassano lo trattava con quella deferenza che solitamente si riserva ad un capetto o, vista la situazione, al "tipo" quel personaggio da piazza dotato di un potere tanto enorme quanto effimero.
Il Paco in questione, d'altronde, si muoveva ben conscio della sua parte: gesti sciolti, calmi derivati da quella sicurezza che solo fonti qualificate ti possono dare e che naufragano di fronte ad un rifornimento bruciato o ad una retata dei carabinieri.
- Nessun problema.- continuava a ripetere una volta che aviammo le trattative - Si può fare. Alle 7 di sera, quando distribuiscono il rancio, ci troviamo nel cortile dietro, poi si fà spesa.
- Non ce l'hai tu ?.- chiesi diffidente.
- Lui esce e sà dove trovarla.- mi spiegò, non richiesto, lo scoppiato Bassanese.
Alle 19 in punto mentre tutti i pazienti del reparto Osservazione ringraziavano Dio per le schifezze che uscivano dalle pentole e dai tegami, ce la filammo elegantemente andando all'appuntamento.
Oltre a noi c'erano due vicentini, le faccie stravolte dall'astinenza e quarantamila lire da aggiungersi al mucchio delle mie trenta.
- Bene ragazzi, aspettate che io vado.- esordì Paco una volta che ebbe contato i soldi.
- Un attimo - interruppi - Io i soldi in mano non li do nemmeno a mia madre.
- Ok, allora o ti riprendi la tua fresca oppure vieni con me.- rispose senza guardarmi.
E subito si diresse deciso verso il muro di cinta.
Facendo leva su un paletto si arrampicò in cima, poi agrappandosi alla rete metallica si equilibrò verso un varco.
- Vieni ? - chiese guardando da oltre tre metri di altezza il mio naso all'aria.
Avevano già acceso le luci e un riflettore lo crocefiggeva contro quella recinzione, gli altri componenti del gruppo erano spariti e quel buco lassù nella rete era minaccioso. Di là da quel varco c'era uno sbattimento da farsi con tutti i crismi, gente che affollava banconi di bar per un aperitivo,ragazzi padovani che prendevano accordi per la serata, impiegati che rincasavono stanchi di straordinario. Ma c'era anche una altezza considerevole, e la possibilità di essere scoperto e rispedito al corpo insieme allo scomodissimo marchio di insofferente alla disciplina militare.
Sorrisi dunque a quel tipo lassù in alto.
- Non fare tardi che poi stò in pensiero.
Ricambiò il sorriso e riprese le sue acrobazie infilando le lunghe gambe nel varco, ondeggiando pericolosamente verso il lastricato alle sue spalle e sparendo infine al di là del confine con il mondo.
Questo alle 19.15 ora locale.
Adesso l'orologio segnava le 23. e ancora non si era visto.
Quindi mi aveva fregato. Matematico.
Un "pacco" di quelli classici, da non raccontarsi in giro per non diventare un cane di paglia in servizio permanente.
Accendo un'altra sigaretta pensando al solito rito che mi sarebbe toccato l'indomani: cercare Paco tra una visita e l'altra, forse trovarlo, minacciarlo, ascoltare le sue scuse e non credere a una parola.
Con gli altri tizi, magari lo si poteva portare in un angolo, rompergli il naso e vedere uscire quel sangue che aveva già metabolizzato i miei soldi. Picchiarlo per frustrazione, per non creare la fama di uno che si può fregare impunemente.
Prendere a pugni la propria degradazione riflessa nell'altro.
Sostanzialmente un atto di sopravvivenza gratuita.
Il tizio di Bassano si avvicinò. Con il sottofondo del chiostro e quella sua felpa dal capuccio tirato sulla testa sembra proprio un fraticello.
- Non si vede ancora.- annuncia
- Già.
La sua presenza mi infastidisce, la sua ovvietà pure, così come il suo coinvolgimento in una storia da cui ne esce solo della beneficenza .
- Stò malissimo.- continua a ripetere - Se non torna Paco... Cristo devo chiedere all'ufficiale medico un paio di Roipnol...
- Non te ne darà più - dico con cattiveria.- Ci sei andato già tre volte.
Non riesco a fargli male, lui è più esperto di me circa l'ambiente, e infatti replica con sicurezza
- Oh si che mi li darà! Lui vuole solo dormire in pace e ha paura che pianti un casino.
Voglio rimanere da solo. In queste situazioni l'unica arma che può avere un minimo di efficacia è quella di aspettare.
Una cosa che si impara subito: far passare il tempo per interminabili minuti a bordo di una macchina, su una panchina, sotto un portico, fumando una sigaretta dietro l'altra mentre mille faccie si incrociano senza essere quella giustaposservando tutte le faccie che passano sperando di vedere quella giusta.
- Io vado giù - sentenzia il ragazzo muovendosi.
- Sì vai, vai.
- No perchè stò troppo male. Sai com'è no ?
Ieri non stava TANTO male. Se questa sera il suo dolore è forte come una pena d'amore la colpa è della speranza, dell'illusione.
Accendo una sigaretta e riprendo l'attesa. Non di Paco, oramai lui non l'aspetto più, ma del mattino. Arriverà portandosi via questo nervosismo, questo sudore freddo che scende lungo la colonna vertebrale, queste lancette dell'orologio che si muovono troppo lente e troppo veloci.
Un altro mozzicone di sigaretta scende a far compagnia all'altro, oramai spento.
Mi muovo verso il mio reparto e la branda sperando solo in qualche ora di sonno.
A un risveglio in un mondo meno bastardo non spero più.

2

- Sveglia. Dai coso... Bologna svegliati!
Ho dormito solo due minuti, due ore, due secondi. Un sonno malsano, turbato dalle retroguardie della carenza, dai passi degli insonni, dai lamenti notturni provenienti dalle brande vicine e,ora, da qualcuno che mi scrolla.
- Dai cazzo! - continua a dire una voce soffocata. I miei occhi scorrono su di lui senza vederlo, si fermano sulla mia roba ammonticchiata dietro la branda. Istintivamente la palpo.
Sembra tutto a posto, nessuna mano estranea pare esserci messa in mezzo come quella sera, la prima, in cui mi trafugarono le stellette dalla divisa..
L'ombra tiene la voce bassa per non farsi sentire.
- Vieni dai, alzati.
Mi sembra che sia Paco, ma forse è ancora colpa dell'illusione.
Comunque sia quell'illusione la seguo nei cessi.
- Cazzo, certo che hai il sonno duro.- dice mentre lava qualcosa sotto l'acqua.
- Uhm ! Quando prendo sonno...
Sul bordo del muretto che divide le latrine c'è tutto l'armamentario occorente per l'occasione.
- E gli altri ?.- chiedo.
- Non ce ne è abbastanza.- risponde con gli occhi fissi su quello che stà facendo.
- In giro c'era un sacco di madama e non si trovava niente. Dieci carte ho dovuto tenerle per darle alla guardia giù nell'entrata...
- E il buco nella rete ?
- E' impossibile rientrare di là. Tieni. - conclude passandomi il cilindro di plastica talmente sbiadito che la gradazione fatica a leggersi.
- Mi pare usata.- constato esaminandola con occhio critico.
- E' usata. Raccolta da terra causa farmacia di turno troppo lontana. Comunque, male che vada, una epatite vale sessantagioeni di convalescenza.
Un giorno forse verremo tutti riciclati in avvocati, medici, infermieri specializzati in analisi del sangue, dirigenti di multinazionali che passano sopra ogni valore e sentimento per realizzare il proprio obiettivo. In attesa del mondo nuovo non mi formalizzo sul pericolo di una ulteriore imissione di virus, e nemmeno del fatto che una parte di quello che mi spetta è ben avvolto in un pezzetto di stagnola che riposa, tranquillo, nelle tasche di Paco.
- Il filtro ?
- Tienilo tu.- concedo.
L'ago è spuntato e la mano è tremolante a causa del sonno, della carenza, dell'emozione di un incontro troppo atteso. Poi il sangue si fà strada, si coniuga con il liquido giallognolo e allora mi nasce il sorriso.
Coperta chimica, brodo caldo in una sera d'inverno, biglietto per un attimo di requie, è tutto lì in un cilindro di plastica, a portata di un colpo di pollice.
Solitamente gioco un po' con lo stantuffo, mi piace vedere il rosso che va e che viene, ma questa volta c'è l'incognita di un ago che potrebbe bloccarsi proprio sul più bello e schizzare tutto fuori, così spingo piano, con cautela.
- Cazzo, non è male. - mormoro mentre l'onda sale, rende pesante la nuca, la radice del naso, scalda la mia anima.
Paco è ancora lì che traffica.
- Vuoi una mano ?- chiedo sentendo che la mia voce è già arrocchita dalla depressione polmonare.
Scuote la testa, poi sorride.
- Com'è ? - domanda con soddisfazione.
Annuisco e accendo due sigarette, come di solito si fà dopo un pranzo o una buona scopata.
Ci lasciamo alle spalle il puzzo delle latrine e andiamo sotto il portico del chostro.
Seduto per terra assorbo il fresco del muro attraverso la schiena mentre l'orologio dell'ospedale batte l'una di notte, qualche povera anima cammina fumando incontro al mattino.
- Certo che sono proprio assurdi. Questo cazzo di orologio batte tutte le ore facendo un casino d'inferno e questo in un posto dove la massima parte della gente non riesce a dormire.
- Una cosa non assurda non trova posto nella vita militare.- commenta Paco.
- Sei un vecchio saggio tu- ridacchio con voce impastata - Ti servirà domani con quei tipi che ti hanno dato i soldi ?
- Boh ? - risponde alzando le spalle. - Chi se ne frega, tanto sono dei veneti !
- Non, sul serio!- riprende con foga rispondendo alla mia risatina - Mi stanno sui coglioni. Per loro esiste solo Cristo, i soldi e il vino ! Sono tutti ubriachi e bigotti oltre che Carabinieri. Sai il concerto che hanno fatto da te i Clash?
- Quello gratis.
- Esatto, quello. Da Fidenza siamo partiti in quattro, siamo arrivati a Castelfranco e zac! ecco lì i caramba. Documenti, solite storie e, stiamo già andando via che uno di loro mette la sua testa di cazzo in macchina, annusa e scova due cicche di spinelli nel portacenere. Morale: concerto perso e tutta la sera passata al comando ad ascoltare la paternale di un maresciallo. Veneto.
- Vabbè, non puoi prendere un carabiniere da esempio.
- No, lascia stare. Anche su alla mia caserma sono tutti di quella razza.
- Beh, anche dal Car da cui vengo io sono tutti veneti.
- Vedi ? Ho ragione o no?
- Ma dai! Come tutte le persone alcuni sono tizi in gamba e altri sono da bruciare.
- Al Car la gente non è ancora scoppiata.- dice dopo una lunga pausa
- Invece, da dove vengo io, la storia è un'altra.
Una storia brutta, pare, e anche lunga.
Con voce resa asonnata dll'iniezione, Paco mi racconta una brutta favola ambientata in un mondo parallelo dove regnano stupidità, arroganza, solitudine.
Cullato da quella ninna nanna chimica che ho dentro l'organismo, tengo le palpebre rilassate, la sigaretta che scandisce il tempo consumandosi tra le dita, il sonno allontanato da pruriti improvvisi. Quel mondo ora non mi può ferire, forse domani riuscirà a ghermirmi, ma questa notte no, questa notte sono protetto.
Percepisco un cambiamento nel tono di voce del mio compagno. C'è dell'ansia nelle sue parole e dopo le lunghe pause riprende il discorso su note isteriche. Sintonizzandomi meglio capto singulti sempre più frequenti che interferiscono con un discorso oramai arreso alla comprensibilità.
- Dai - mormoro voltandomi verso di lui proprio quando le lacrime iniziano ad uscire dai suoi occhi.
Dolcemente attiro la sua testa sulla mia spalla.
- Non ci voglio più tornare... non ci voglio più tornare là... mi fanno morire... voglio tornare a casa mia.
Ora abbraccio forte quel corpo così agile e sicuro di sè e ora indifeso lontani chilometri da una città amata e odiata, da una canna fumata su un Dyane parcheggiato lungo gli argini, da un ragazza baciata con la complicità della musica dei Doors.
- Io... quando ero a casa non mi facevo... gli odiavo i tossici... ma... non ci torno non ci torno lassù!
Mi arrivano in testa le piazze piene di gente, la scazzatura del sabato sera, i temporali visti dai colli, quattro culi che provano le sospensioni al ritmo dei Led Zeppelin, i cessi della stazione, mura antiche da cui fuggire e da rimpiangere.
- Non fare così, dai...- gli sussurro continuando a cullarlo.
- Ce la fai, credimi, ce la fai. Uno come te non può non uscirne. Cacciaglielo in culo. Sopravvivi.
Una anima in pena passa e lancia una occhiata fuggevole. Classificherà la situazione come una delle tante storie tra maschi che nascono non a causa di uno sbalzo ormonale ma per solitudine e disperazione. Dopo due passi la cosa finirà relegata in uno scomparto secondario della sua mente lasciandogli ,forse, solo una piccola sensazione di nostalgia per un attimo di conforto che, nel suo forsennato girovagare non trova.

3

- Ho già fatto un salto in medicina ma la suora non mi ha fatto entrare.
Il tizio di Bassano mi parla mentre punto le stellette sulla divisa di panno. Le ho trovate questa mattina sopra un pacchetto di Camel nuovo, in bella vista sullla borsa. Ho saltato la colazione e un tenente medico mi ha informalmente avvertito che, quasi con sicurezza, oggi avrò il foglio di convalescenza così, anche se praticamente ho dormito un paio d'ore, mi sento fresco e riposato.
- I tipi di Vicenza sono neri duri e ci aspettano dopo il rancio per andare a cercare Paco.
Mi sono concesso il lusso di farmi la barba non avendo oramai bisogno di esaltare la mia oggettiva e innaturale magrezza.
- No.- rispondo controllando nello specchio il mio stato.
- Cone no?.- si stupisce il tipo.- In fondo ci hai messo trenta carte.
- Trenta carte vanno e vengono. Anche i concerti dei Clash e la naja. Rimane solo la tua soppravivenza.
- Conservati - raccomando infine dandogli un buffetto sul viso ottuso.
Poi, con passo quasi marziale vado ad affrontare l'ultimo ostacolo tra me e la mia continua fuga.

Nessun commento: