domenica 17 giugno 2007

LO SMOLLATO

Le prime 24 ore dopo che lei lo aveva lasciato, trascorsero piuttosto bene.
In fondo non era la prima volta, chi è che non litiga con la propria ragazza ogni tanto ?
E si sà, quando si litiga volano anche parole che dovrebbero non uscire dalla tana
Poi le telefonò
- Pizza e cinemino ? – esordì allegramente
- Non mi sembra il caso.- rispose lei un po’ freddamente.
- Cinemino e pizza allora ?
- Senti Roberto – aveva detto lei dopo un sospiro – Non ti ho forse spiegato che è finita ?
- In che senso scusa ?
Lei spiegò nuovamente “in che senso” e lo spiegò con tono leggermente pedante e molto serio.
Lui, attaccato alla cornetta, ascoltava sentendosi un po’ come l’alunno delle elementari che subisce la paternale della maestra. Quando riattaccò rimase un po’ perplesso poi vide il padre con le consuete ciabatte e il consueto accappatoio che attraversava il corridoio.
- Papà, la Silvia mi ha smollato.
- Morto un papa se ne fa un altro.- rispose serafico l’uomo.
In attesa del prossimo conclave pensò di reagire come un vero uomo.
Si chiuse in casa.
Dentro al suo mondo quotidiano iniziò a esplorare quei territori solitari e aride di carezze ben conosciuti dai malati d’amore. Si addentrò nella vasta e labirintica landa del “perché” con relativo “forse” e perse, naturalmente l’orientamento che la guida che lei gli aveva fornito.
Il suo “non ti amo più” (detto con tante altre parole e imbarazzi), non pareva motivazione sufficientemente seria e razionale per lasciarlo dopo cinque anni.
Senz’altro doveva esserci un altro motivo ben più grave e serio.
Sì, ma quale ?
“Forse è per quella volta che con i colleghi facemmo quel torneo di “w la figa e chi la stuzziga”. - ipotizzò - Ma gli chiesi scusa sessanta volte e mi classificai anche ultimo. Anzi, fui escluso a metà competizione per manifesta inferiorità”.
“Allora le stà sul cazzo la mia macchina. Dice che il vecchio Golf è da maragli. Dice che quando qualcuno vede un Golf lo vuole subito sfidare. Sì, lo sfida dal meccanico che ci mette un quarto d’ora solo a mettersi in moto!"
“Forse non gli piace più come scopo. Ma come può dirlo se lo facevamo una volta al mese ? Che ce l’abbia piccolo ? Ma no ! quando giochiamo a calcetto lo vedo il pisello degli altri, non è che siano messi poi troppo meglio ! A parte Scara, lui è un caso a parte. Ora che ci penso lei Scara lo conosce.”
Senza accorgersene era già in pieno territorio del risentimento (oltre che in quello della demenzialità )
- E’ una stronza. - sbottò dopo che ebbe scartato (ma non fino in fondo) le ipotesi più assurde. Una stronza fatta e finita e lui non l’avrebbe più cercata.
Mai più.
Purtroppo, tra il suo proposito e la realtà c’era l’apparecchio telefonico. Posizionato nel corridoio di fianco alla agenda nuova (gentilmente regalata dalla azienda dove lavorava), l’apparecchio stava lì completamente indifferente al suo dolore di uomo e non solo si rifiutava di trasmettere le chiamate di lei, ma infieriva. A causa di una vecchia otite materna, l’apparecchio era tenuto al massimo e, quando squillava tutta la casa era scossa da qualcosa di simile ad un allarme antiaereo. Quando ciò avveniva, a Roby regolarmente prendeva un attacco di tachicardia ma, stoicissimo, si fiondava sulla cornetta prendendo tutti gli spigoli possibili e immaginabili sul percorso.
Respirava a fondo e sollevava la cornetta con un “pronto” impostato su un dolore forte ma vissuto in maniera dignitosa.
Regolarmente scambiava due battute con qualche zia o altra parente o affine, dopodichè passava la cornetta alla madre impaziente e iniziavano lunghe sedute in cui venivano elencate, con il viva voce inserito, una serie di morti, malattie e sfighe varie.
Il telefono, come è noto ai più, oltre ad avere la funzione di ricevere chiamate ha anche quella di trasmetterle. Su questo particolare punto Roby aveva le idee chiarissime.
“E’ una stronza e, se mi vuole ,chiama lei. Io, se ne avrò voglia, le parlerò. Ma è LEI che deve chiamare, non esiste che lo faccia io. Io stò bene lo stesso, e risparmio. Anzi, mi stò già dimenticando il numero”.
Quel numero lo compose diverse volte. Per motivi di neccessità e urgenza, ovvero per chederle se, casualmente, non avesse lei un particolare cd che non trovava più, o per sapere la data esatta di nascita di un comune amico.
Il più delle volte trovò un irritante tu tu di linea libera quanto inutile che frustrò ancora di più rancori e dolori. In una occasione il “pronto ?” era della madre di lei.
- Buonasera sono Rossi della Sondaggi Italiani, vorrei parlare con la signorina…Silvia ?- si annunciò imitando alla perfezione una voce ben lontana dalla sua reale.
- Ah ciao Roberto ! Silvia è fuori con un amico. Quando torna le dico che hai chiamato.
Dopo il balbettante ringraziamento di prammatica si fece qualcosa di simile ad un esame di coscienza. Era stanco di ascoltare canzonette che parlavano di amori lontani e perduti; stanco di commuoversi ogni volta che in tv c’era un film d’amore; stanco di cercare una calma al dolore con Nutella e crema al wisky combinazione che lo costringeva, tra l’altro, a lunghe sedute in bagno a meditare sulla sua infelicità anche intestinale.
Per lunghe ore aveva pensato alle diverse soluzioni per riprendersi la sua Silvia. Il suo piano d’attacco era del tipo:
“Potrei andare a trovarla. Ad un certo punto chiedo di andare in bagno, mi taglio le vene e, con il sangue scrivo sul muro è colpa tua.” Oppure: “ La incontro per strada. In quel momento c’è una rapina. La difendo e mi becco un proiettile che mi uccide. Anzi no… che mi manda in coma. Ecco sì: per difenderla entro in coma e mi sveglio solo dopo che lei mi ha detto che sono tutta la sua vita…. Chissà se mi funzionerebbe anche la polizza infortuni…”
Ma capiva anche lui che erano percorsi difficilmente praticabili e che l’unica soluzione era, definitiva, di tornare a vedere gente, muoversi, divertirsi.
Insomma: tornare a vivere.




II

Fuori dal portone ebbe una vertigine. Tempo.Tempo libero da trascorrere senza rendere conto a nessuno o quasi. “Dove sei stato ?” “Con chi ?” “Sicuro che non ci fossero donne ?”
- La vita è un gigantesco ottovolante !. esclamò. – Su, quindi, in pista !
Si però, quale era il percorso ?
Decise che la cosa migliore da fare era prendere l’auto e prendere la strada dei colli.
Alzò la musica e “Discoteque” rimbombò nell’abitacolo.
- You need you know where’ s my love…
cantò incurante del reale testo della canzone (in fondo era il bello della musica straniera: non capirci un cazzo), muovendosi mentre guidava in una cosa che a lui sembrava vagamente un ritmo musicale. Ah, che liberazione tenere la musica alta ! Che sollievo una chitarra distorta senza dover aggiungere “Amore, se ti rompe dimmelo che metto su un Baglioni.”. Oh sì, in fondo si stava bene da single, si stava bene, era tutto così rock-n’roll che considerò anche l’ipotesi di infilarsi gli occhiali da sole.
Sottolienò questo stato d’animo spingendo acceleratore e volume, scalò la marcia, superò una Audi e urlò un – Yeahhh ! – sboccato e volgare come un Jagger dei primi tempi.
-La notte è mia ! – urlò a squarciagola
Un ApeCar procedeva davanti a lui con due luci che parevano lumini da cimitero e costringendolo a frenare tanto bruscamente da spegnere il motore.
-Merda. C’è mancato un pelo. -Mormorò con il cuore in tachicardia spinta.
Girò la chiave di accensione traendone il nulla assoluto. Provò diverse volte con la macchina che scivolava indietro, il motorino che tossichiava e Bono che urlava ad un volume spropositato.
Qualcuno lampeggiò da dietro aumentando la sua già considerevole sudorazione isterica. Tentò almeno di spegnere lo stereo , ma spinse solo l’eject facendo uscire il nastro mettendo in circolo un fischio raspante di qualche radio mal sintonizzata.
Al secondo lampeggio sbottò: - Ma và a cagare stronzo !
Il carabiniere si affacciò dal finestrino.
Dopo aver mostrato tutti i documenti documentabili, atteso che la centrale confermasse che l’auto non era rubata e superata la prova del palloncino al secondo colpo (al primo lo ingoiò), prese la via per la città ascoltando, per radio, un vecchio radiodramma .
Fu nei pressi dell’incrocio che l’odore di pizza gli fece venire appettito.
- Ma sì, chi se ne frega. – commentò posteggiando.
Dentro al locale faceva un gran caldo e un cameriere abbronzatissimo e con una gran coda da cavallo gli chiese se era solo, domanda a cui riuscì a rispondere con un – Naturalmente.- che sperò suonasse tanto da lupo solitario.
Fu indirizzato verso un tavolino misero e solitario vicino ad una vetrinetta dove un neon semi scoppiato esaltava la tristezza di piatti freddi solo nel cuore.
Nonostante gli scarsi avventori, il cameriere tardava ad avvicinarsi e lui si trovò presto con le mani nelle mani. Già, perché quando si è in compagnia, l’attesa è più o meno lunga in rapporto alla fame e alla qualità della compagnia, ma da solo , che faceva?
Vagò con lo sguardo per il locale semideserto e si fissò su un personaggio che stava ad un tavolo poco distante dal suo. Di età pressappoco simile, cellulare sul tavolo e sguardo vacuo.
“Anche lui stà passando quello che passo io.” ragionò Roby “ Non può essere altrimenti, guarda che faccia !”
“Sì, sì, è uno smollato anche lui. Eh , ti capisco ! Siamo sulla stessa barca. “ pensò tentando un timido sorriso quando lo sguardo del tizio incrociò, vagamente, il suo.
“Quasi quasi mi siedo al suo tavolo. In fondo due smollati stanno bene insieme. Perché no ? Un po’ di solidarietà maschile perdio ! Ci prendiamo una boccia di vino e brindiamo alla vita senza quelle due stronze, perché scometto i marroni che anche lui è appena stato smollato da una stronza come me.”
Il progetto gli parve talmente sensato da fare quasi la mossa di alzarsi, ma il viso del tipo si era illuminato di colpo. Un ragazzo alto e con tutti i muscoli al posto giusto, dall’entrata si diresse verso il tavolo del ragazzo sorridendo. Lo baciò sulle labbra e si accomodò tenendo una mano dell’altro tra le sue.
- Desidera ? – chiese il cameriere.
Roby si concentrò sul menù ma in realtà il suo pensiero era altrove.
Dove, non lo sapeva nemmeno lui, ma sicuramente altrove.
Rincasando pensò a quello che gli era accaduto quella sera. Non era tanto sconvolto dal fatto che aveva sporcato i pantaloni bianchi con la Coca, ma quanto il fatto che di Coche ne aveva ordinate DUE.
“ Due coche. E anche Medie !” e il rutto che gli venne su, confermò il fatto.
Doveva essere proprio fuori di testa per fare una cosa simile. E per fortuna che di pizze ne erano arrivate solo una !
Aveva mangiato con un ritmo più veloce del suo abituale, alzando lo sguardo solo ogni tanto, per imporsi una pausa osservando la gente agli altri tavoli.
“Perché la mia storia non poteva essere come quella ?” si era chiesto notando la coppietta che, un paio di tavoli più sulla destra, mangiava placida. “Loro si vogliono bene. Si vede da come si guardano. Sono affiattati. Lei non darebbe a lui un dolore così grande come quello che dtò subendo io. “ Ammirando la coppia il cui lui stava spiegando qualcosa con larghi gesti seguiti dagli occhi attenti di lei, con gli occhi arrossati dalla commozione desiderò essere testimone alle loro nozze per augurare quella felicità che a lui era stata negata.
- Sei uno stronzo ! – sbottò di colpo la ragazza – Uno stronzo fatto e finito !
E gettando il tovagliolo nel piatto, prese la via dell’uscita.
Una volta chetato il silenzio che, subito era calato sul locale, l’accompagnatore (ora solitario) si guardò intorno in cerca di una complicità che potesse alleviarlo dall’imbarazzo.
Vigliaccamente Roby abbassò lo sguardo al piatto, concentrandosi sulla sua quattro stagioni.

III

In effetti da soli soli era dura. Ci voleva un amico. Se non proprio da dimenticare il male, almeno per mangiarsi un panino e sparare quattro cazzate.
“ Bodo no. Ci parlava un casino con la Silvia. Anzi, per me le stava anche dietro.” Cogitò spulciando l’agenda.
“ Potrei chiamare Stampo. Uhm… stà insieme alla MG. Mg e Silvia sono culo e camicia. No, Stampo è meglio di no.”
Altri tre nominativi risultarono fuori città, un quarto era in prossimità del matrimonio e quindi era troppo occupato nei preparativi e un quinto mandò la sorella all’apparecchio.
- E’ troppo depresso per parlare con qualcuno – lo informò questa – La sua ragazza lo ha smollato.
Fu la madre che, al suo rientro dal lavoro,gli annunciò che il telefono, finalmente, lo aveva cercato.
- Hanno telefonato la marina e Dario. Hanno chiesto se li richiami. Se stai fuori dimmelo prima che stavo preparando un coniglio alla cacciatora…
Marina e Dario, Dario e Marina. Probabilmente avevano telefonato insieme.
Nella stessa cornetta. Marina e Dario, dario e Marina, il cui amore si rivelò in terza superiore ma, probabilmente, era già nato in prima elementare. Marina e Dario , Dario e Marina oggi sposi e insieme per sempre. Dario e Marina, Marina e Dario a cui si aggiunge un nome che adesso dovrebbe avere quattro o cinque anni.
Alle 19,45, puntualissimo, si presentò per la cena.
- Vecchia canaglia. – lo accolse Dario con una stretta di mano eccessivamente energica.
- Che piacere che mi hai fatto a venire !
Bacini, grazie e il regalo che finisce tra le mani del bambino, bellissimo , che lo scarta, guarda perplesso la confezione di grossi dadi colorati con le figure di animali e, nonostante sia un bambino evidentemente ben educato, la ripone subito in un angolo, già morta, prima di chiedere:
- Posso tornare al computer ?
Dario che lo informa, quasi con l’aria di scusarsi, che il bambino segue un programma speciale alla scuola materna.
- Sai… informatica, lingua inglese… cose del genere
- Ah ah – commenta Roby – A mè all’asilo facevano cantare lodi alla Madonna.
Poi la cena. Non male ma un po’ macrobiotica, con farro, fave e legumi vari inaffiati da un vini talmente blando da far rimpiangere quelle bottiglie di rosso spumoso e un po’ troppo euforizzante.
- Da quando siamo diventati vegetariani, ho perso sei kg. – lo informa uno sodisfatto Dario dandosi sonore manate sullo stomaco. – Ora a tennis non mi batti più.
E intanto Roby, che comunque non ricorda alcuna partita a tennis con l’amico, vaga con lo sguardo sulla ampia stempiatura dell’ospite mentre questi mette in tavola l’argomento “che fine hanno fatto i vecchi compagni di classe ?”, seguito da una lunga dissertazione sulla fatica di essere un lavoratore autonomo.
Marina , invece, non è apparentemente bisognosa di diete. Pare sempre quella e Roby la osserva mentre lei entra velocemente in cucina, si siede a tavola parlando dolce ma seria con il bambino, interviene nei discorsi del Marito con osservazioni intelligenti e piene di buon senso.
Nella testa di Roby spunta un fioco ricordo di una festa tra compagni di scuola. Un bacio rubato in un angolo un po’ buio e la calda sensazione di una tetta tra la mano. Di chi era quella tetta ?
E mentre Dario continua a ripetere : - Si lotta caro Roberto, si lotta. Vado via di casa alle 7 e torno alla sera tardi. Anzi, a volte anche dopo.- il ricordo si pianta nella testa come un fittone. “Impossibile che fosse lei. Stava già con Dario. Eppure c’è stato un momento che pareva si smollassero…”
Quando il bambino lascia la tavola diretto, presumibilmente verso qualche video gioco che Roby troverebbe incomprensibile, Marina la razionale arriva al punto.
-Così ora sei single eh ?
- Già. – risponde lui funereo.
L’ espressione di dario vira su una serietà di circostanza mentre la moglie riprende.
- Ma… il motivo ? Lo sai ?
-No. Cioe… dice che… dopo tanti anni. Forse non mi amava più…
-Ah l’amore ! – interviene per un attimo Dario con tono sarcastico.
-Ma cos’erano che stavate insieme ? Cinque, sei anni ?
-Otto , Marina.
Lei sospira, elimina una briciola dalla tovaglia.
-Come mai non parlavate ancora di matrimonio ?
Roby abbassa ulteriormente lo sguardo, che già era sceso dagli occhi al seno di Marina per un fugace esame (“eppure a quella festa…”)
-Non è che non ne parlassimo… è che … dovevamo sistemarci.
-Sì ma… Roby. Da quanti anni lavori tu ? eh ?
-Sette.
-E anche lei mi pare che abbia un buon lavoro no ?
- Sì si...
-E allora che cosa aspettavate ?
Cosa aspettavano ? Lei aspettava che lui si decidesse, lui aspettava che lei cambiasse idea. Ma, detta così, in effetti la cosa pareva un po’ deboluccia e sparò la prima cosa che gli veniva in mente.
- Beh, volevo lasciare passare un po’ di tempo così che magari avevo qualcosa tra le mani di più redditizio…
- Non mi dirai che aspettavi che ti chiamassero ancora in tv ! – dice lei eccessivamente incredula
- Per una volta che ci sei andato a raccontare barzalette !
- Beh ho fatto anche delle Sagre paesane e dei festival dell’ Unità…
- Sì va bene Roberto, sei sempre stato bravissimo a raccontare barzalette, ma non credere di essere un nuovo Gino Bramieri…
- Mi accontenterei di Bisio. Lo hai visto in “Kamikazen” il primo film di
Salvatores ?
Marina sospitò gonfiando i pettorali e dando a Roby , per un attimo, la certezza che la tipa della festa fosse proprio lei.
- Insomma Roberto, devi metterti in testa che devi crescere. Hai oramai più di trent’anni, un lavoro sicuro. Una donna vuole anche delle certezze. Una casa… dei bambini… Guarda me e Dario. Lavoriamo tutto il giorno, abbiamo i nostri scazzi ma sono oramai vent’anni che stiamo insieme. E sai perché ?
Scosse impercettibilmente la testa in un no mentre lei continuava.
- Perché sappiamo assumerci le nostre responsabilità. Condividiamo le nostre responsabilità.
- E’ dura a volte – intervenne Dario – Ma quando mi guardo intorno e vedo che cosa ho realizzzato... beh, amico mio, ti dico che ne vale la pena.
- Non lo metto in dubbio .- mormorò Roby mentre la sedia diventava sempre più scomoda e i dubbi riguardante la paternità delle tette palpate lo stava ossessionando oltre ogni limite.
Il discorso seguì ancora un poco questi binari, poi lui si prese una pausa andando in bagno.
In piedi di fronte al water, ammirò la vasca da idromassaggio, scossandosi il pisello osservò la doccia ipertecnologica, tirando lo sciaquone notò il cesto della biancheria. E la bretella del reggiseno che da esso sporgeva. Prese l’indumento e lo esaminò attentamente. Non era molto pratico in materia e quindi non riuscì a valutare la misura, ma solamente a riconoscere una marca ampiamente publicizzata.
Afferrò una coppa e si concentrò come se dovesse ascoltare una musica complessa, affondò il naso nell’altra coppa inspirando a occhi chiusi. Quando li riaprì, i vecchi ricordi non si erano schiariti. In compenso il bambino era sulla soglia e lo fissava leggermente perplesso.
Con fare disinvolto roteò il reggiseno sul dito indice.
- Non ti hanno insegnato a bussare prima di entrare in un bagno ? – chiese duro lanciando l’indumento sul cesto.
- Ha la patta aperta. – replicò l’infante con sommo disprezzo.
Fortunatamente non ci furono altri intoppi per tutto il resto della serata che, tra l’altro, fu piuttosto breve. Lui si lanciò in una serie di elogi sinceri all’arredo del bagno, scivolando su una dotta disquisizione circa i nuovi water iperteconologici giapponesi e concludendo con un paio di barzallette in materia che strapparono solo sorrisi educati.
- Ciao Roby, è stato un piacere rivederti e… pensa a quello che abbiamo detto. – lo congedò Marina sulla porta.
- certo Marina, ci penserò. Ah, senti… ti ricordi per caso quella festa… che facemmo 20, 25 anni fa in casa di Attilio ?
- Attilio chi ?
- Attilio… Morini… credo.
- Non ricordo nessun Attilio e nessun Morini. – rispose lei dopo un attimo di riflessione. – Mi spiace. Perché ?
- Oh niente. Niente di importante.
In strada il Golf non ne voleva sapere di ripartire. Lui continuava a girare la chiave ma tutto rimaneva fermo e immoto. Infine si decise di chiedere aiuto a Dario il quale, con perfetta efficienza, collegò cavetti e batteria rianimando l’auto.
- Da quanto tempo è che hai questa batteria ?
- Credo da… da sempre, perché ?
- Secondo me dovresti lasciare l’auto dall’elettrauto perché temo che a casa non ci arrivi. Ce ne è uno proprio dietro l’angolo e, tra l’altro, è mio cliente. Ti potrei accompagnare io a casa.
Seguì il consiglio e sitrovò sprofondato nei comodi sedili di una Audi con Dario che guidava rilassato e senza nessuna fretta.
- Non ti sarai offeso per quello che ti ha detto Marina, vero ?
- Io ? Figurati !
- No, perché ha un modo di dire un po’ da maestrina, ma… fidati. Da quando la conosco sono maturato molto.
- Quello che conta è COSA dice, non COME lo dice.- concordò saggiamente Roby per subito aggiungere. – Guarda lì le somale… niente male.
Parole sante. – concordò l’altro senza specificare su quale dei due argomenti fosse d’accordo.
L’Audi svoltò per un largo vialone che attraversava una zona di uffici e dove, di sera, si svolgevano altri tipi di servizi.
-Certo che ne devono fare di incassi. – commentò Roby osservando le lunghe code di auto di fianco alle prostitute.
- Beh, tieni conto che molti di questi sono giovinastri senza né arte né parte, o curiosi solitari o in gruppo. Gente che si diverte come può. – concluse Dario con una sfumatura di disprezzo.
Roby annuì distratto. Anche lui si era divertito come poteva trovandosi coinvolto in “puttan- tour” con i colleghi. Anche lui, passando per quel viale che lo riportava a casa, non resisteva alla tentazione di un decelerare di motore, di una occhiata prolungata, di un esame veloce ma attento. Anzi, proprio in fondo alla strada, scorgeva già l’alta sagoma di una mulatta con un corpo che la luce del neon rendeva ancora più statuario.
Quasi captasse il suo pensiero, Dario rallentò ulteriormente, dandogli modo di ammirare con calma la ragazza.
- Soccia che fisico ! Un giorno o l’altro giuro che mi fermo e le chiedo quanto vuole.
- Trentamila bocca e figa.
Roby guardò l’autista. Dalla sua espressione capì che, se ci fosse stata abbastanza luce, lo avrebbe trovato rosso come un cartarifrangente.
- Me lo diceva proprio ieri un collega… - mormorò pietosamente Dario.
Roby decise che non era il caso di infierire.
Tornò a concentrarsi su quella vecchia palpata di tetta convinto oramai che appartenesse proprio a Marina.

IV

Il lavoro di Roby, non era male. Dalle otto alle cinque di sera, orario flessibile, impiegato e buon stipendio. L’occorente per sistemarsi con una brava figliola quindi, ma , visto che questo occorente era diventato il suo problema principale, lui apprezzava ben di più altri aspetti del suo faticare quotidiano, come, ad esempio, i suoi colleghi.
Ce ne erano di tutti i tipi, naturalmente, come in ogni microcosmo che si rispetti, ma, la cosa carina era che ce ne erano una serie di giovani e gaudenti.
Pieffe, ad esempio, rigettava il suo inesorabile camminare verso i quarant’anni grazie ad un istrionismo degno dei migliori palcoscenici. Grezzo ma intelligente quanto bastava, con un fisico agile e scattante per niente ostentato, godeva fama di single impenitente nonché di figaiolo.
Suo degno socio era Libero. Diverso per stile e fisico, il collega puntava tutto su uno sguardo semi magnetico, una ombrosità esistenziale e una aria da duro costruita ad arte per essere smontata, pezzo per pezzo, dalle ragazze. Completava il sodalizio di ultra trentenni con la mentalità di vent’enni , Salvatore che più che un uomo pareva un fumetto per via delle mosse e delle gag che riusciva a creare.
Il trio, godeva di ottima fama nell’ambiente di lavoro. Si favoleggiava di uscite che culminavano con il cartellino timbrato senza passare da casa. Chiavi di appartamenti giravano vorticosamente e, se si incontravano alle macchinette distributrici del caffè, era tutto un gergo loro fatto di nomi di locali trendy, pub sconosciuti, nomi di donne che parevano soprannomi e viceversa.
Alcuni colleghi erano usciti con loro. Raccontavano la loro esperienza con sorrisi e tanta, troppa, vaghezza alimentando, ulteriormente il mito.
Roby li conosceva bene. A causa della loro prorompente vitalità li aveva incontrati spesso sui campi da tennis e da calcetto, lavorava con un paio di loro fianco a fianco e per questo, con loro, aveva aperto le dighe della confidenza.
Naturalmente, da bravi nomadi del cuore, lo avevano adottato e per questo Roby non si stupì quando, una mattina, Pieffe lo invitò in discoteca con loro.
Lo so anche io com’è la questione. Uno incontra una e non esce più. Invece srà storia è deleteria per qualsiasi rapporto . – pontificò Libero che, negli ultimi dieci mesi aveva avuto circa 9 benservito da altrettante ragazze.
- Conoscere gente nuova ti farà bene. C’è un intero mondo là fuori che ti aspetta. Non rinchiuderti..- lo spronò Pieffe.
Soprattutto c’è della gran gnocca.- lo convinse infine Salvatore
Infine Roby accettò. Non che gli ci volesse molto tempo, ma si dimostrò riluttante quel che bastava, giusto per una gratificazione comoda nel vedere gli altri che insistevano un poco.
Però poi , quel fatidico Venerdì sera, si pose subito un problema: con che mezzi uscire ?
Già perché ognuno dei tre amici era motorizzato su due ruote e ognuno di loro sperava di mollare gli altri e di andarsene in buona compagnia dove per “buona” era da intendersi, naturalmente, compagnia femminile. La discussione fu piuttosto lunga e molto tecnica. Ognuno tirò fuori dei numeri legati a statistiche di “rimorchio” piuttosto empiriche, si ragionò su percorrenze e possibilità e infine decisero che i ¾ del gruppo sarebbero andati via ccon la macchina di Roby e uno solo in moto, dopodichè… si sarebbe visto.
Chiarita la questione trasporto, ci fù quella dell’orario.
- Alle 23.00 sotto casa di Sal.- sentenziò qualcuno subito rintuzzato.
- Alle 23.00 è presto ! Facciamo almeno alle 23.30 !
Roby seguì sgomento la trattativa. Quando era ancora felicemente accoppiato, non disdegnava la discoteca anche se non era uno dei suoi luoghi preferiti per via del casino che impediva di apprezzare le sue battute. E poi , lui, alle 23.30, era già stanco di quei posti, anzi… era proprio il classico orario critico in cui avrebbe preferito, più di qualsiasi altra cosa, di andarsene a letto.
Era sempre stato così. In forma smagliante, pieno di battute, pronto e dinamico fino alle 23. 28, 29 al massimo. Poi… una tremenda sonno si impadroniva di lui, gli appannava i riflessi, abassava le palpebre fino ad allora attente e ricettive. Quello stato durava qualche decina di minuti e non di più, durante i quali lui riusciva a fare solo le cose essenziali per la sua soppravvivenza: guidare la macchina fino a casa, mettersi il pigiama o, in casi estremi, rispondere a monosillabi e relegarsi sullo sfondo della compagnia fino a che la crisi non fosse passata.
Comunque sia l’orario fu fissato (èur tra qualche mugugno) per le 23.15 ora locale.
Non certissimo dell’ubicazione della casa dell’amico, Roby partì da casa circa un ora prima, vagò per sensi unici e corsie preferenziali e infine arrivò alla meta circa con tre quarti d’ora d’anticipo.
Parte del restante tempo lo trascorse davanti al portone, sotto ad una pioggerella fastidiosa.
Dopo un quarto d’ora di orologio e due giorni di nervi di Roby, la porta principale si aprì e ne uscì la sagoma di Salvatore che attraversò la strada e depositò nel cassonetto dell’immondizia, un voluminoso carico.
. Cosa fai qua ? Perché non hai suonato ? – chiese al collega rientrando e accorgendosi infine, della sua presenza.
Ci ho provato. Due volte. Non rispondeva nessuno.
L’altro lo guardò con malcelata perplessità, poi si illuminò.
- Forse avevo la musica un po’ troppo alta. Dai, vieni su.- concluse.
- Ti và una birra ? - gli fu offerto in casa.
Lui avrebbe preferito una Coca visto che poteva definirsi astemio “Ma un Sabato sera è un sabato sera - pensò - E vai con la trasgressione “ concluse accettando l’offerta.
Comodamente seduto su una poltrona che aveva visto tempi migliori, Roby ascoltò le chiacchiere dell’amico, ricambiò con qualche confidenza e arricchì , anche se di poco, il suo repertorio di pettegolezzi sul lavoro. Intanto, un orologio ricavato da un vecchio disco in vinile segnalò che erano le 23.20.
Sarà meglio che vada a cambiarmi. – annunciò Salvatore – Tra un po’ i ragazzi saranno qua.
Roby annuì evitando di commentare il già certo ritardo e osservò l’altro che spariva nei corti meandri casalinghi. Diede una occhiata ai libri allineati e ai dischi per poi passare ai cd, infine si sedette di nuovo, prese una rivista musicale e iniziò a sfogliarla sorprendendosi di trovare un nome di un gruppo conosciuto.
Si svegliò bruscamente a causa di una cacofonia da stadio che riempiva la stanza e, presumibilmente, anche oltre.
_ Sei pronto per vivere ? - gli tuonò all’orecchio un euforico Pieffe.
- Credo di essermi appisolato.- riuscì a mormorare cercando di risalire dagli abissi del sonno.
- Eri tronco duro.- rettificò qualcuno.
Preoccupatissimo per il saporaccio che sentiva in bocca e che certo avrebbe dato un durissimo colpo al suo fascino, Roby seguì gli amici all’esterno dove si scoprì di rimpaingere la pur scomoda poltrona sulla quale, perlomeno, non pioveva. Poi, cercando inutilmente di scuotersi dall’inerzia, guidò a lungo seguendo le indicazioni contradditorie dei compagni di viaggio; ammirò l’indignazione di Libero che, a parole grande amico di tutto il personale del locale aspettò con loro tre lunghi, umidi, quarti d’ora prima che il “buttadentro” accettasse di introdurli all’interno dell’ex capannone industriale; pagò una cifra che gli parve esagerata e infine fù ammesso nel tempio.
Non era la prima volta che entrava in un locale da ballo, ma, come sempre, provò subito un senso di smarrimento. Le penombre rese schizzofreniche dalle luci, la musica tachicardica, lo sbalzo di temperatura con l’esterno lo frastornavano sempre. Vide le schiene dei suoi soci che avanzavano sicuri dentro la calca di corpi e si affrettò a seguirli.
- Ehi ! - urlò Pieffe riuscendo a farsi sentire da sopra la musica.
Mani levate, sorrisi, Pieffe che si stacca dal gruppo e ne raggiunge un altro, baci, abbaracci.
Ridotti a tre il gruppetto avanza e poi, come in un sogno, Roby vede i suoi amici sorridere, aprire la bocca in un richiamo, alzare un braccio con un gesto di saluto.
In breve rimase solo con un bicchiere di sangria in mano che Libero gli aveva affidato prima di farsi di nebbia.
Cercò un punto di osservazione per fare il punto della situazione. Di certo c’era solamente che quel locale era diverso da quelli che frequentava con Silvia la quale, grande appassionata dei balli latino-americani, lo trascinava in posti dove signore di mezza età rivestite di abbaglianti lamè distruggevano distinti coetanei in giacche pastello e cravatte improbabili, machi con le camicie di seta e la coda di cavallo che si afflosciava dopo quattro o cinque tanghi, galli da bar con i bargigli oramai in disarmo.
Qui dentro pareva non ci fosse una vera e propria caccia alla preda.
In pista ognuno ballava perso dietro a ritmi che sentiva solo lui, probabilmente ipnotizzato dai bassi pompati che uscivano dagli amplificatori. Intorno si vedeva qualche gruppetto, tutti con qualchecosa da bere in mano, la bocca spalancata per dire qualcosa di udibile a ldi sopra della musica, il capo chino per ascoltare.
- Non sei Roberto per caso ?
Si girò al suono della voce per trovarsi di fronte un tizio alto più o meno come lui. In pochi secondi gli fece crescere i capelli di qualche centimentri, tolse il pizzetto platinato e una decina d’anni ed ecco Comellini, compagno di classe delle medie.
- Massimo. - esclamò allora abracciandolo. - Come stai ?
- Mi chiamo Mauro.- rispose l’altro sciogliendosi in fretta dalla stretta - Bene grazie. E tu ?
Non doveva porre quella banale domanda. Roby si sentì autorizzato a fargli un sunto della propria vita condito da un migliaio di divagazioni e concluso da una serie di domande circa la storia dell’altro. Le risposte dell’altro furono molto sintetiche e già si profilava un silenzio da cui l’ex compagno ne sarebbe sicuramente uscito con un “Ciao ci vediamo” lasciandolo di nuovo solo, quindi tentò un:
- E gli altri ? Hai visto qualcuno ?-
Era già pronto al suo: - No. Lui aveva visto casualmente un paio di personaggi e un bidello e questo gli fornì altri 30 minuti (un po’ stiracchiati) di monologo.
Dopo una brevissima pausa passò a ricordare episodi legati alla vita scolastica. A causa della sangria, confuse le storie delle medie con quelle del liceo ma riuscì a stiracchiare un tre quarti d’ora circa e a strappare numero due sorrisi nell’altro.
- Vado a prendere da bere. - tentò il tipo con chiari intenti dileguativi.
- Oh, ti accompagno.- concesse Roby agitando il bicchiere vuoto.
In mezzo alla calca ritrovò gli amici.
- Oh Roby ! - lo chiamò Sal
Si unì al gruppo mentre l’ ex compagno di scuola prendeva al volo l’occasione e fuggiva nella calca.
- Ti và un Tequila bum bum ? - gli propose qualcuno.
- Ma sì vai.
Una barista dai capelli violetti preparò il beverone e mise il bicchiere di fronte a Roby che in impeto di euforia lo tracannò di un fiato.
L’effetto fù sorprendente.
- Vai !
- Grande Roby !
Alzò le mani per clamare il trionfo. In fondo non era niente. Un goal in rovesciata, un paniere da tre allo scadere. Normale per un eroe.
- Grazie ragazzi siete un pubblico meraviglioso. disse sorridente prima di allontanarsi di qualche passo e crollare su un divanetto dove c’era un posto libero.

La calcolatrice andava e faceva tatatac tatatac e ogni tatatac era una mitragliata nei nervi di Roby. Testa pesante, occhio opaco e meccanismi cerebrali un po’ nebbiosi, ricordava vagamente di essere stato accompagnato a casa da qualcuno dopo aver vomitato nel parcheggio del locale.
- Andiamo a mangiare ? - gli chiese un collega indicando l’orologio e facendogli venire un subitanea ondata di nausea. Aveva pensato di saltare il rituale della pausa mensa, poi... in fondo qualche cosa bisognava mandare giù e i veri uomini si vedono in questi frangenti. Aprì la finestra dell’ufficio, inspirò profondamente l’aria fredda e infine, si sentì pronto per affrontare la cacofonia dicibi e odori.
Quando si mise in fila per pagare aveva il vassoio pieno di formaggi e verdure.
- Sei a dieta ? - gli chiese la cassiera.
Guardò quel bel viso incorniciato dai capelli neri sotto cui spuntavano due occhi da tuffarcisi subito anche se non si sapeva nuotare.
- Peso 85 kg.- rispose annuendo sero.
- 85 kg. ? - ripetè l’altra incredula.
- Già. 55 di carne e 35 di ossa.
La risata della ragazza gli annullò tutti gli odori e i rumori dell’ambiente.
- Ora chiedimi come faccio a sapere il peso delle osssa.
- Come fai a sapere il peso delle ossa ?
- Facile. Dal totale ho tolto quello della carne.
La seconda risata preceduta dallo sguardo complice colmo di aspettative, annullò proprio tutto.
Ora nella mensa aziendale le luci al neon erano state sostituite da candele. L’odore dei cavoletti di Bruxelles pareva profumo di rose. Un vecchietto segaligno spuntò chissà da dove suonando una romantica melodia con il violino mentre le persone in fila sparirono tra gran sorrisi.
In breve rimasero solo loro due e i loro sguardi.

Nessun commento: