domenica 17 giugno 2007

UNA ESTATE.

- No, io ti dico solo un nome. Solo uno: Zico. No, ho detto Zico. Capito ?
Presi quelle quattro lettere lanciatemi dal collega, le abbinai al mio cognome e le feci andare avanti e indietro. No, non funzionava.
- No, perchè ora ti dico: quando lo rivedi giocare Zico ? Eh ? Tra quattro anni ? E tra quattro anni tu dove sei ? - continuò il mio collega imperterrito.
- Sono con un figlio di poco più di tre anni.
Questo me lo avevano comunicato solamente la sera prima, durante uno di quei dopo cena apparentemente tranquilli, con la mia persona svaccata sul letto di lei a leggere un fumetto mentre si faceva venire l’orario per uscire.
- Senti. Ti dico una cosa.
- Uh ?
- Hai presente che questo mese non mi venivano ?
Certamente che lo avevo presente. Come lo avevo avuto presente tre mesi prima e ancora un paio di volte almeno.
- Stavolta ci siamo.
Probabilmente avrei dovuto dire qualche cosa del tipo "E’ meraviglioso !" poi abbracciarla commosso, andare di là in cucina ad annunciare ai suoi genitori il nostro matrimonio e cose del genere. Ma ero su un ottovolante e avevo preso una curva bella tosta, così rimasi muto.
In quel mio silenzio lesse qualche cosa e proseguì: - Non ti chiedo assolutamente nulla, non ti preoccupare. Ti vorrò bene lo stesso e tra noi non cambierà niente. Io lo terrò comunque. Fai come ti senti di fare.
L’ ottovolante fece un’ altra curva regalandomi una veloce visione di un pargolo uguale a me, di un pallone di cuoio, di una bambolina di carne che mi chiamava papà...
- Se è femmina non c’è problema.- riuscii infine a dire. - Ma se è maschio come lo chiamiamo ?
Rincasai ad un orario imprecisato oltre la mezzanotte e con il mio futuro status di padre messo in secondo piano rispetto alla voglia di dormire.
- Buonanotte. - sentii sussurrare alle mie spalle e sussultai mio malgrado nel vedere il fantasma bianco che si vedeva in corridoio.
" Come mai sei ancora alzata ?" mi venne da chiedere in maniera sgarbata. Ma conoscevo già la risposta. Era stata in bagno. Ci andava sempre quando rincasavo di sera, fosse stata l’una o le due o chissà che ora. Quindi mi limitai ad un - Buonanotte mamma.- mentre mentalmente prendevo l’appunto di cercare perlomeno di fare finta di dormire quando il mio erede sarebbe rientrato all’ovile.
Il mattino dopo la mia corsa pareva essersi fermata. Alle rosee visioni della sera prima nate sull’onda dell’euforia ne erano subentrate altre di pannolini sporchi, di notti in bianco e di pianti disperati quanto misteriosi.
Ma non era quello che mi preoccupava più di tanto (anche perché mi mancava una visione generale della questione) quanto una frase che lei aveva buttato lì: - Come la prenderanno i tuoi ?
- Bene. -avevo risposto sicuro. E sicuro lo ero davvero. Non l’avrebbero presa male: mia madre forse si sarebbe messa a piangere combattuta tra l’ansia e la gioia; mio padre avrebbe dato un po’ in escandescenze per poi disperarsi pensando a come scombinavo le sue aspirazioni su di me e i suoi risparmi; entrambi avrebbero parlato dell’incoscienza del sposarsi a vent’anni senza casa e con un lavoro che da lì a 15 giorni sarebbe terminato.
Logico quindi che non morissi dalla voglia di raccontare le novità e che volessi dare a loro circa otto ore di quiete prima della tempesta.
Ma quando mi presentai, quella mattina, al mio più che precario posto di lavoro con contratto a termine, mi resi conto che sarebbe stata una quiete molto, molto, relativa.
L’Italia di Bearzot aveva battuto l’Argentina e ora doveva affrontare il mitico Brasile di Socrates, Zico, Cerezo e altri nomi più o meno fantasiosi come il calcio che esprimevano.
Ai brasiliani bastava un pareggio per superare il turno, mentre i miei connazionali avevano l’obbligo di vincere. Una possibilità che anche il più ottimista dei tifosi non osava sperare a voce alta.
E di ottimisti ce ne erano pochi e comunque nascosti in mezzo ai tanti commissari unici, tecnici, critici, e Cassandre varie. Io mi tenevo ai margini del coro. Da quando il mio personale mito , Beppe Savoldi, era andato via da Bologna, prima la pallacanestro, poi un sdegnoso e un po’ snobistico disinteresse sportivo, mi rendeva un consapevole incompetente. Logico quindi che, con la scusa della pausa pranzo, cercassi un po’ d’aria dagli asfittici argomenti di quel giorno buttandomi nell’altrettanto asfissiante canicola estiva.
Fuori dal problema dei Mondiali, la mia questione tornò a galla in tutto il suo splendore.
"Stasera bisogna che dica tutto ai miei. " ragionai "In fondo quale sarà il problema ? Giusto la paternale che mi faranno. Diranno che ora dovrò comportarmi da uomo. Responsabile e maturo."
Era indubbio: i due termini mi agghiacciavano ed evocavano quei scenari borghesi che evitavo come la peste. Però era necessario. Non potevo diventare marito e,sopratutto, padre continuando a fare la vita che facevo. Basta con i sogni di rock n roll, gli atteggiamenti da rude boy, gli eccessi notturni. Era ora di diventare grande.
Programmare una carriera, scegliere un mutuo, fare un progetto, risparmiare per qualcosa di importante e duraturo.
Sì, sarei stato un vero capo famiglia.
Nel frattempo entrai in un negozio di dischi e mi comperai un paio di LP. Doppi.
Probabilmente qualche residente bolognese era già al mare, forse madre e figlio che cercavano riposo su qualche spiaggia adriatica di bassa stagione attendendo il marito per il fine settimana. Mi venne in mente il mio vago progetto di partire per il Marrocco e sentii il bisogno di una birra. Il tizio dietro al bancone mi liquidò tanto frettolosamente che presi in seria considerazione l’idea di attaccarmi al barile della spina e svuotarglielo tanto non mi avrebbe sicuramente visto considerato che aveva occhi e mente in collegamento diretto con un tv portatile da cui uscivano le note dell’inno nazionale.
Il ritmo dei miei passi per una Bologna calda e deserta si inseriva bene nel silenzio rotto solo dal rumore di qualche raro veicolo e dalla voce di Martellini che si propagava come una lontana eco sotto i portici. Lo scenario mi piaceva e aveva un potere distensivo sui miei nervi. Tra breve sarei arrivato a casa e avrei parlato con i miei genitori. Con calma, dicendo le mie ragioni e ascoltando le loro. Mi avrebbero visto così determinato e responsabile che non avrebbero potuto fare a meno di mettere da parte le loro angustie e godersi il loro nuovo status di nonno.
Ma quando l’autista del bus, che guidava con una radiolina accesa appesa al cruscotto, mi scaricò alla fermata in un tempo da record, avrei preferito che la strada fosse lunga kilometri infiniti per posticipare l’incontro.
Infine, arrivai alla porta di casa.
Presi fiato ed entrai.
Immerso in un volume spropositato, mio padre guardava la partita mentre mia madre frugava nei cassetti della credenza.
- Ma li avevi anche ieri sera ? - chiese
- Ti ho già detto di sì.- rispose lui frettolosamente.
- Prima mi avevi detto di no.- rimbeccò lei vagamente inquisitoria.
- Cosa vuoi che mi scriva tutte le volte che mi metto e mi tolgo gli occhiali ?
- Come sei nervoso ! Non avrai mica scommesso al bar ?
- Cosa avete perso ? - intervenni
- Tuo padre non si ricorda più dove ha messo gli occhiali da guardare la televisione. - mi informò lei.
Capii di essere arrivato in pieno dramma.
Un solo paio di occhiali in due, il Brasile in tv e il "pater familias" di casa costretto a fissare lo schermo attraverso due lenti affumicate benché graduate.
- Come stanno ?- volli sapere sedendomi con una birra.
- 2 a 2.- rispose senza guardarmi - Ma non ce la fanno.- aggiunse in un impeto di ottimismo.
- No eh ?
- No. Non si può andare in vantaggio due volte con il Brasile e farsi prendere e a loro basta solo un pareggio per classificarsi e... a casa a casa a casa !
Guardai sullo schermo una giustificazione a quel crescendo e intravidi un italiano che spazzava il pallone lontano dall’area.
- Senti papi - iniziai esitante - Ti ricordi tutto quel discorso sulla responsabilità che mi hai fatto quella volta che ho graffiato la tua macchina uscendo dal garage ?
- Eh !
- Beh, ti volevo dire che avevi ragione. Un uomo si vede anche da come si assume le sue...
- ROSSI !!!- urlò Martellini
- E GRANDE !!!- esclamò alzandosi in piedi e unendosi al frastuono della Tv.
- Hai trovato gli occhiali ?- chiese mia madre entrando in quel momento.
Rividi alla moviola il goal del Paolino nazionale, mentre mio padre si aggirava per la sala, andava al frigo, lo apriva, lo richiudeva senza prendere niente, tornava e commentava:
- Ma pensa tè ! E’ magro più di te e ha fatto già tre gol ! Dicevi della assicurazione ?.
In silenzio presi un’altra birra e guardai oziosamente lo schermo che rimandava le splendide ma inconsistenti evoluzione dei brasiliani, l’arroccamento italiano, le proteste di Zico per la marcatura di Gentile. Pensai vagamente che probabilmente il terzino avrebbe già sputato il rospo, senza paura, come fosse un intervento in scivolata sul filo dell’area e cercai di costruirmi mentalmente il discorso. Ma ero sempre più distratto dalla tv e dal vagare di mio padre che toccava tutti i punti della sala commentando ad ogni scalo "Non finisce più" o "Soccia che partita ! " o entrambe le cose, oltre allo scaramantico " A casa" ogni qualvolta i brasiliani passavano la metà campo
A questo si aggiungeva il controcanto di mia madre che alternava un "Abbiamo segnato ?" a "Va bene se da cena faccio i fagiolini ?" ottenendo in cambio, risposte al limite del grugnito.
In breve dimenticai le mie angustie e, pur sapendo solamente il nome di tre o quattro dei nostri giocatori, mi trovai in piedi ad inveire contro l’arbitro che non fischiava mai la fine.
Quando il dramma carioca fu finalmente sancito abbracciai mio padre e , già che c’era, anche mia madre di colpo coinvoltissima nell’ evento.
- Dai papi. Facciamo un brindisi. - proposi tirando fuori dal frigo la bottiglia del vino.
- Quello lo bevo a tavola. Vado giù a prendere una bottiglia buona.
- Con il casino che hai in cantina lo trovi quando ci saranno gli Europei.
- Non hai già preso due birre ?
- Mamma, la Nazionale ha battuto il Brasile ! Te ne dò un po’?
- Un dito solo che ho lo stomaco...
Misi a tutti il bicchiere in mano e, levando il mio , declamai:
- Alla Nazionale Italiana ... e al nipote in arrivo.
Poi svuotai in un solo sorso tutto quanto. Giusto per ritardare di un altro attimo l’incontro con le loro facce.

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