domenica 17 giugno 2007

Magma

Il demone del piacere era lì, proprio di fronte a lui, ed aveva assunto le sembianze di un nastro di celluloide racchiuso dentro un piatto parallelepipedo di plastica nera.
Armando l’aveva scoperto per caso aprendo il cassetto della scrivania del collega in cerca delle graffette ferma fogli; ma invece della famigliare scatola verde, i suoi occhi si erano posati sulla videocassetta e subito il suo cuore aveva cominciato a pompare sangue più velocemente.
Conosceva già di fama il nastro, i suoi colleghi se lo passavano di mano commentandone i contenuti, lodando le prestazioni di qualche artista con espressioni un po' ammirate, un po' invidiose. D’altra parte la custodia protettiva lasciava poco spazio ai dubbi: sotto alla scritta "Magma", wild pigs and other ajaculations" vi era un primo piano di quella che poteva essere una delle protagoniste del film; un apparato mammario di dimensioni inusuali era sormontato da un viso di donna i cui lineamenti erano deformati da un orgasmo apparentemente insostenibile.
Sentii lo stomaco contrarsi mentre era palesemente ipnotizzato dalla fotografia. La ferrea, anche se non rigida, educazione cattolica ricevuta, di tanto in tanto affiorava insieme alle indispensabili repressioni.
Cosi Armando non perdeva occasione per sbirciare fugacemente le copertine dei giornali porno, così come le prostitute lungo la strada, ritrovando piacere per la trasgressione che provava da adolescente; un piacere più forte di quello erotico, un piacere che faceva parte di lui.
Guardò al retro della custodia, cove altre fotografie offrivano un antipasto al succulento contenuto del film e iniziò a sudare quando notò come un certo particolare anatomico di una attrice fosse simile a quello di una segreteria del suo ufficio.
Era Venerdì pomeriggio, il week-end alle porte e il legittimo proprietario del nastro che tornava dalle ferie solo il lunedì successivo. Perchè lasciarsi sfuggire l’occasione?
Se ne uscì dall’ufficio con la ventiquattrore appesantita dal suo carico porno, ed allora si rese conto di una assoluta verità: non possedeva un videoregistratore. In effetti ciò poteva rappresentare un problema, specie se si vuol vedere una videocassetta; ma non per l’eroico Armando. La visione del piacere valeva il superamento di qualche difficoltà logistica.
Intanto, la prima dove nascondere la maialata in celluloide?
Mentre portava il suo fido 124 beige verso casa, Armando rifletteva ad alta voce e con metodo:
- "La tengo nella borsa. chi va a vedere nella borsa?... la nonna, quando cerca il giornale. Niente borsa o alla nonna viene un mezzo infarto. In camera; ecco in camera. Cosa potrebbe succedere? potrebbe succedere che mia madre pulisce e lo trova. Già, sarebbe un po' sconvolta. No niente camera. In cantina!" - l’idea lo entusiasmò - "sì, in cantina... ah no! boia!" - imprecò - "è vero che mio padre imbottiglia."
Tremò al solo pensiero dello sguardo accusatorio del padre.
Poi l’illuminazione sulla via di Damasco: - "In macchina!" - urlò dall’eccitazione facendo sbandare un pensionato in bicicletta. Immediatamente scalò la marcia, tagliò la strada ad una serie di pedoni e vetture assortite e si infilò in una laterale poco frequentata. Dopo un paio di centinaia di metri si fermò vicino ad una ampia cancellata; si guardò intorno: nessuno in vista, poteva procedere all’operazione "imbosco di pornazzo".
Scese ed iniziò a scuotere nervosamente la portiera posteriore. Naturalmente era chiusa. Riuscì infine a prendere la valigia e a porla sul baule posteriore. Cercò freneticamente la chiave giusta. Solo dopo averla trovatasi rese conto che aprire un baule quando su questo c’è appoggiata una valigia poteva essere una cosa comunemente chiamata cazzata. Prese in mano la valigia e finalmente aprì’ dietro. Si immerse nel baule con quasi tutto il corpo ed emerse tenendo in mano una vecchia borsa di tela blu sul cui fianco delle lettere che una volta erano bianche informavano dell’esistenza di una certa bocciofila Rizziera. Era la mitica borsa degli attrezzi. Ora si trattava di aprire la valigia, estrarre il pornazzo e metterlo fra chiavi inglesi e candele: Un’operazione semplice, ma che si può complicare non poco se si è al nervosismo più assoluto. La ventiquattrore si apriva sollevandone il coperchio, quindi, per compiere questa ardua operazione, Armando aveva bisogno di una base d’appoggio. Si guardò intorno: niente che potesse assolvere questa funzione. Alzò la gamba sinistra tenendosi in equilibrio sulla destra, appoggiò la valigia alla coscia, e tentò di far scattare le serrature. Il baricentro iniziò a spostarsi inesorabile e bastardo lui cercò di recuperarlo saltellando sulla gamba. Dopo alcuni patetici balzi, il suo volenteroso tentativo fu interrotto bruscamente dal corpo massiccio di uno dei tanti operai che uscivano dalla fabbrica. In quel momento. La valigia schizzò dalle mani di Armando come fosse di sapone e scelse quel preciso istante per aprirsi spargendo intorno tutto il contenuto.
Freneticamente Armando cercò la sua cassetta e fu aiutato in ciò da un tarchiato metalmeccanico che indicando il nastro per terra commentò con voce esageratamente alta:
- "Soccia, questo sì che è un cinema che mi piace!" Armando si assoggettò tentando una parodia di sorriso, ma non gradì nè l’entusiasta recensione, nè tantomeno la strizzatina d’occhio, che gli rivolse l’operaio, anzi si può dire che l’odiò per questo complice gesto.
Quella sera Armando pareva contemporaneamente in tutte le stanze dell’appartamento, tanta agitazione aveva in corpo, e se non c’era lui si sentiva comunque la presenza della sua voce tonante. Tanta vitalità era giustificata dalla risoluzione del problema videoregistratore. Tramite telefono era infatti riuscito a trovare un amico disponibile a dividere con lui una oretta di piacere filmato; grandioso! Alle 21 in punto l’orgasmo catodico si sarebbe realizzato.
Il dramma durante la cena; Armando era alla terza porzione di brasato quando il padre interruppe la sua solita taciturna abitudine per dire:
- "Stasera prendo la 124".
Sentendo questa sentenza paterna Armando rischiò il soffocamento.
- "Ma veramente..." - riuscì a dire una volta riacquistato l’uso dell’esofago - "mi servirebbe per andare da Carlo; sai, parte per le ferie..."
- "Ma Titto," - s’intromise la madre usando l’odioso nomignolo di quando aveva cinque anni - "Te l’ho detto prima che stasera andavamo dalla zia Carlotta a prendere la conserva di pomodoro."
Nella mente di Armando si formò uno scenario in cui le cassette di pomodoro venivano posate sul nastro rendendolo una inutile poltiglia di plastica. Quanto sarebbe costato il ripagarlo al proprietario? Con ottimismo invidiabile, elaborò una ulteriore agghiacciante ipotesi: guasto all’auto, padre che prende la borsa degli attrezzi, e invece della chiave del 28 si trova fra le mani il laido filmato, e poi lo sguardo paterno deluso e risentito, la sua immagine di bravo figliolo annullata da quella di maniaco perverso.
- "Vi accompagno io!" - urlò facendo sobbalzare la nonna, decidendo d’impulso che era meglio tenere la situazione sotto controllo, piuttosto che attendere in casa il ritorno dei genitori non sapendo se sarebbero rientrati solo con la conserva al pomodoro o anche con la vergogna di un figlio anormale.
Uscì fuori comunque una bella seratina: la conserva non uccise il filmato che rimase quieto nella mitica borsa degli attrezzi , la zia Carlotta fece una gran festa al nipote così come Andrea, il cugino scemo, che riuscì anche, contro ogni pronostico, a battere il nervoso Armando a rubamazzo per ben due volte.
Il mattino dopo, appena sveglio, Armando prese coscienza della sua drammatica situazione: Una videocassetta clandestina, un solo amico attualmente in ferie disponibile per la visione della cassetta in questione, nessun altro mezzo alternativo, una voglia morbosa di assistere al pornospettacolo.
Praticamente una situazione senza via di scampo.
Nel pomeriggio uscì con la Barbara, la sua ragazza, e considerò di vederlo insieme a lei. Effettivamente la ragazza possedeva parecchie cose: tre televisori, due videoregistratori, uno stereo, un fratello idiota, un padre, una madre (la procace Sig.ra Tina) e tre auto; ma l’ipotesi di assistere alla pornoproiezione insieme a lei era impraticabile. La Barbara già si concedeva ad Armando con il trasporto e la frequenza di una beghina ottuagenaria, ed inoltre disprezzava la pornografia ed i suoi utenti con eccessiva virulenza.
Ma vi era un’altra persona nella vita di Armando che gli poteva essere di aiuto: sua cugina. La Katia aveva solo cinque anni più di lui ed era già felicemente sposata con prole; Armando l’aveva sempre vista come un prototipo di sorella maggiore e sicura di sè, piena di buoni consigli, una classica donna moderna, insomma.. E aveva un videoregistratore. Alla sera si preparò per andare a cena dalla cugina. Non aveva un piano ben preciso. Avrebbero cenato e lui avrebbe improvvisato sul tema, attendendo il momento buono per far vedere il nastro.
Nel frattempo dove mettere il pornazzo? Armando aveva una giacca scozzese color acquamarina con due tasche interne: una era di dimensioni standard, ma l’altra poteva assolvere la funzione di nascondiglio. La cosa parve funzionare, sennonché si era in Luglio inoltrato e l’afa era oppressiva anche di sera, così Amando decise che almeno in auto poteva evitare la sauna.
Si tolse la giacca con il porno dentro e la posò sul sedile di fianco. Vicinissimo alla casa della cugina si verificò l’inconveniente; tutto concentrato a ciò che poteva escogitare nelle prossime ore, Armando si accorse del semaforo rosso solo all’ultimo momento. Frenò, sfiorò un Apecar e gli si spense il motore. La giacca era finita sul pavimento de 124. Scendendo dall’auto si accorse che anche la videocassetta era uscita dal nascondiglio. La rimise velocemente al suo posto, suonò ed entrò in ascensore insieme ad una anziana signora dai capelli azzurrini. Durante l’ascesa della cabina Armando teneva l’atteggiamento di disinvolta serietà così tipico di chi si trova in ascensore con uno sconosciuto: mani in tasca, sguardo nel vuoto. La signora invece no; lo fissava intensamente, anzi lo guadava alternativamente in un punto vicino al petto e poi in volto. La signora aveva anche una espressione schifata. Imbarazzato Armando seguì lo sguardo della vegliarda e i suoi occhi si fermarono su una parte del viso dell’attrice che stava sulla copertina del film. Evidentemente in macchina aveva infilato il nastro nella tasca più piccola e adesso eccolo lì che sporgeva con il suo bel titolo e la faccia eccitata di una protagonista.
Appena la vecchia scese, Armando cercò di rimettere il pornazzo al suo posto. Il nastro si incastrò. La cabina continuava a salire verso il piano della cugina. Armando pigiò alcuni pulsanti dell’ascensore con l’intenzione improbabile di invertire il senso di marcia. Riuscì comunque a bloccare la cabina e a suonare l’allarme quasi contemporaneamente. La cassetta, continuava a non volerne sapere di uscire dalla tasca. Infine stracciò la fodera e mise il turpe filmato dove avrebbe dovuto stare. Rispose con spigliatezza al gruppo di condomini che lo liberò dall’incomoda posizione, con disinvoltura rimbeccò le battute di Katia e di suo marito ed entrò nell’appartamento.
Parole fra parenti. Frasi di circostanza. Poi la banalità si trasforma in crisi;
- "Dammi pure la giacca".
- "No, grazie, preferisco tenerla. Questa sera è un po' fresco".
- "Ma se ci sono 29 gradi".
- "E’ una escursione termica." - viso che diventa pian piano sempre più arrossato sotto lo sguardo indagatore della cugina.
- "Due settimane consecutive di temperatura vicino ai 30 gradi non mi sembrano esattamente una escursione termica". - ribadì Katia; poi con fare casuale, mentre si dirigeva verso la cucina: -"Comunque se il problema è lo strappo che hai dentro la giacca, non ti preoccupare; al limite potrei anche cucirtelo".
Durante questo dialogo Armando si rese conto che i pori della sua pelle stavano emettendo ettolitri di sudore, e la cosa peggiorò durante la cena vera e propria. Già dopo le prime forchettate del primo la giacca non era più un innocuo capo di abbigliamento, bensì un raffinato mezzo di tortura e di coercizione; d’altra parte il togliersela e lasciarla incustodita avrebbe potuto portare ad una prematura scoperta del nastro.
Sudore. Caldo. Parole intorno alla tavola. Il vino bevuto faceva calare le inibizioni. Armando sperava che calassero ulteriormente giusto da inserire nel discorso un "Mi piacerebbe provare il vostro videoregistratore. Ma da solo"; oppure "Adesso collaboro con un giornale di recensioni video e il primo su cui devo lavorare, ci credereste? pare un porno"; ma poteva andar bene anche "Sto facendo un concorso in cui mi mandano una cassetta, ed io vedendola devo trovare la soluzione a delle domande, mi dareste una mano?".
Niente da fare. La rivelazione del tesoro nella tasca non ci fu nè durante la cena nè dopo, quando Armando si trovò sul divano del salotto mentre il marito di Katia proiettava trecentocinquanta diapositive della Sardegna. Ma i suoi bulbi oculari passavano distrattamente sulle immagini dei paesaggi. Si soffermavano piuttosto, su quella scatola nera e piatta che occhieggiava sotto il televisore e che avrebbe potuto donargli 90 minuti di sovratensione psicofisica.
Al momento del commiato, Armando era uno straccio.
Guardò un’ultima volta il video riluttante a separarsene e poi uscì. Si fermò a nascondere nuovamente l’anelato orgasmo in VHS, vomitò tutta la pur ottima cena e guidò il 124 verso casa, rendendosi conto che non aveva mai puzzato tanto di sudore come quella sera.

Aveva deciso di dargliela su. Aveva chiuso con quel cazzo di nastro. Aveva provato a vederlo, nessuno poteva dire il contrario, ma era stata una missione impossibile.
Lunedì l’avrebbe restituito al proprietario: "Come ti è parso Armando?" - "Oh, avevi ragione, mai viste cose del genere? Che storie..!".
Rassegnato a segnare una ultima occasione persa nel bilancio della sua vita, Armando trascorse una Domenica con la sua ragazza. Una Domenica normale come tante ne aveva trascorse, come tante avrebbe trascorso. Passò la sera a casa della Barbara. Una cena, seduto di fianco al padre di Barbara, il geom. Carlo, un uomo convinto che Armando fosse a conoscenza delle più alte strategie manageriali e d’alta finanza, visto il tenore degli argomenti che usava quando rivolgeva la parola al futuro genero. Una impresa ardua, visto che la conversazione, l’attenzione, la discussione era sempre e comunque monopolizzata, fagocitata, dominata, indirizzata, industrializzata dalla madre di Barbara, la sig.ra Tina.
Quarantacinque gagliarde primavere che venivano attutite da quantità di cosmetici, ore di palestra, abluzioni in vasche di idromassaggio, fantasiose diete. Fedele al motto "non è l’età che conta, ma lo spirito" la futura suocera adottava abbigliamenti e comportamenti più vicini alla generazione della figlia che alla sua, raggiungendo il discutibile risultato di suscitare sentimenti molto vicini al sarcasmo.
La logorroica sig.ra Tina riuscì ad imporre ai presenti la visione di "A qualcuno piace caldo" e Armando si trovò sul divano di fianco a Barbara a vedere un film già visto una mezza dozzina di volte, mentre pensava se mai potesse esistere una legge con l’abuso di videoregistratori.
Finito il film e salutato i prossimi inevitabili parenti, mentre si dirigeva verso la porta d’ingresso, ebbe l’illuminazione. Il lampo di genio.
Armando fissò il mazzo di chiavi di riserva dell’appartamento appese ad una orribile falsa chiave in legno vicino alla porta d’ingresso. Contemporaneamente si rese conto che il fatto che il fratello di Barbara fosse in ferie non rappresentava solo la liberazione da un rapporto umano piuttosto sgradevole, ma anche una concreta possibilità.
Non valutò le conseguenze del suo gesto. Agì e basta. Mentre seguiva Barbara verso la porta, Armando vide la sua mano allungarsi verso il portachiavi raffigurante S. Antonio da Padova, staccare il pesante mazzo dal suo chiodo e infilarselo in tasca.
Una volta in macchina gironzolò a caso per le strade del quartiere in attesa che tutti dormissero nella casa che aveva appena lasciato.
Nella sua testa agirono tutte le forze razionali che conosceva, tutto gli consigliava di recedere dal suo proposito. Con obiettività diede ragione ai buoni consigli della coscienza, ma ciò nonostante, dopo tre quarti d’ora, era di fronte alla porta dell’appartamento con le chiavi in mano e il porno in tasca. Scivolò nella casa convinto che il rumore della serratura avrebbe svegliato anche gli abitanti di città limitrofe. Nulla.
La casa era nel più assoluto silenzio. Deciso Armando entrò nella camera del fratello di Barbara dove, fra poster di moto, computer e mazze da baseball, il nostro eroe sapeva di trovare un Sony da 19 pollici con annesso videoregistratore.
Infilò la cuffia e la collegò alla TV, infilò la cassetta, si sedette sul letto di fronte allo schermo e attese.
Finalmente. Quando qualcuno desidera qualcosa e questo qualcosa così perseguito, invocato, sperato, bramato finalmente si ottiene, il risultato pare spesso inferiore alle aspettative. Armando vide sulle schermo una bellissima barca bianca ancorata in un porto che a lui parve quello di Cesenatico. Poi la telecamera si spostò all’interno dove una coppia eseguiva un saggio di conoscenza carnale. Un tizio si unì ai due, e la cosa non piacque ad Armando perchè l’avvento del nuovo personaggio riempiva il tubo catodico dei suoi particolari intimi. Anche le scene successive erano abbastanza deludenti. Fra primi piani più consoni a trattati di ginecologia che ad un film erotico, clisteri, pelle nera, animali, orkwerk Folletto, banane, stivali neri, deiezioni, falli, orgasmi tanto finti quanto le sentite condoglianze rivolte ad una ricca vedova il giorno del funerale del ricco defunto, fellatio, culi, gemiti monocordi doppiati fuori tempo, Armando sentì le palpebre farsi sempre più pesanti, sempre di più. I gridolini di piacere lo cullavano in un erotico dormiveglia da cui si svegliò di colpo. Sul video una biondona sui quaranta si dava da fare contemporaneamente con sei tizi vestiti da ciclisti. Ma non fu tanto la trama del film a svegliare Armando, quanto il fatto che le urla di piacere degli attori risuonavano in tutta la stanza, rimbalzavano sulle pareti, correvano per le stanze della casa, uscivano in strada, svegliavano le genti, coprivano il rumore delle guerre, il sussurro delle onde degli oceani, le parole delle persone, svegliarono il mondo intero.
Il cavo della cuffia penzolava staccato dalla presa.
L’inferno. La morte civica nella testa di Armando alla convulsa ricerca del telecomando. Lo trova. Aumenta il contrasto. Toglie la luminosità. Infine azzera il volume.
In quel preciso momento si aprì la porta
La signora Tina entrò nella stanza. Guardò per un attimo lo schermo televisivo; il Sony le rimandò le immagini mute di una orgia. Gli attori sembravano recitare una porno pantomima resa ancor più grottesca dallo squilibrio contrasto/luminosità. Poi lo sguardo si posò sul letto. Lì c’era Armando. O meglio, sul letta c’era un viscido verme strisciante, come avrebbe risposto Armando in quel momento se qualcuno gli avesse chiesto chi era.
Vide la donna avvicinarsi avvolta nella corta camicia da notte. Armando si concentrò ancora di più nell’impossibile tentativo di dissolversi nel nulla o, come seconda scelta, di diventare invisibile. Aprì la bocca, ma l’aria si rifiutò di uscire. Tentò di balbettare qualcosa che avesse il barlume di una scusa, della giustificazione, della misericordia, ma gli uscì solo un debole quanto pietoso rantolo, che ricordava l’ultimo istante di vita di una anitra.
La signora Tina gli posò un lungo dito bianco sulle labbra: - "Ssh, pulcino mio..." - mormorò armeggiando con la patta dei pantaloni - "non vorrai mica svegliare Barbara".
Armando chiuse gli occhi cercando di dimenticare la tremenda somiglianza che c’era fra il profumo della signora e quello che usava la propria madre.
La mattina dopo Armando derogò alle sue abitudini entrando in ufficio sul filo del ritardo. Si avvicinò alla scrivania del collega e gli pose il porno. L’uomo spostò lo sguardo dalla finestra alla videocassetta e si illuminò uscendo per un attimo dal suo impallamento postferiale.
- "Ah, Magma! L’hai visto anche tu, come ti è parso?"
Armando guardava serio le pratiche sul suo tavolo. Poi senza guardare in faccia il suo collega mormorò:
- "Che storia!"

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